5. Antifascismo e Resistenza

L’occupazione tedesca fu male accolta dalla maggioranza della popolazione italiana. Ricordi risorgimentali e della Grande Guerra avevano fatto vivere a lungo l’immagine del “tedesco nemico secolare”. Il tentativo fascista di rendere popolare l’alleanza non aveva avuto successo e quell’ostilità venne rinnovata dallo spettacolo dei militari deportati e dalla convinzione che i tedeschi fossero causa del proseguimento del conflitto.
Nella cornice di tale stato d’animo fu affrontata la scelta cruciale: Regno del Sud e RSI si contendevano la lealtà degli italiani. Da una parte l’istituzione regia, simbolo dell’unità nazionale, che chiamava a battersi a fianco delle potenze antifasciste, e dall’altra il fascismo, che si appellava all’onore di un popolo che non avrebbe dovuto tradire il suo alleato. Tra questi due pretendenti un terzo avanzava le sue ragioni: quello che si opponeva tanto al fascismo quanto al re in nome di una Italia nuova, democratica e antifascista. Tale era la scelta che si prospettava agli italiani.
Le forze dell’antifascismo, riunite in quelli che sull’esempio francese si chiamarono Comitati di Liberazione Nazionale – CLN, si posero il problema di come affrontare sul terreno militare, oltre che su quello ideale, i fascisti e i nazisti. L’organizzazione della lotta armata non fu facile né semplice: c’erano problemi di armamento, di organizzazione, di addestramento e c’erano anche antifascisti riluttanti a scendere in un confitto armato. Su questi ultimi fu rovesciata l’accusa infamante di attendismo, che in molti casi non rendeva loro giustizia.
Le prime azioni di guerra furono attuate da militari che non vollero arrendersi ai tedeschi nelle isole greche, o in alcune città italiane o infine da militari sfuggiti alla cattura (La prima Resistenza e la Resistenza militare). La superiorità di mezzi e di uomini dispiegata dalla Wehrmacht ebbe presto ragione del coraggio disperato di questi italiani. Successivamente, con l’incoraggiamento e la propaganda dei partiti antifascisti, nuove reclute vennero a ingrossare le fila dei ribelli perché la RSI pubblicò bandi di leva (bandi Graziani) per creare un proprio esercito regolare. La renitenza, dopo un primo tiepido successo della chiamata alle armi, si ampliò alla maggioranza dei coscritti sia per il rifiuto della guerra in quanto tale sia per il rifiuto dello Stato fascista.

 

La Resistenza fu un fenomeno multiforme, legato a condizioni ambientali e a congiunture specifiche; non esistette un unico modello né per il reclutamento né per l’organizzazione. Ci furono formazioni partigiane politicamente qualificate e ci furono formazioni partigiane autonome, le quali professavano in genere lealtà monarchica ed erano indicate come “badogliane”. I partiti riuniti nel CLN dell’Alta Italia CLNAI si impegnarono, pur attraverso un vivace dibattito interno, alla creazione di un comando unico che assunse la guida del Corpo Volontari della Libertà – CVL. Successivi accordi con il governo di Roma e con gli alleati portarono al riconoscimento formale della struttura e alla delega dei poteri per l’Alta Italia.
La guerriglia non fu condotta solo sulle montagne: era diretta a non dare tregua agli avversari, che dovevano sentirsi insicuri ovunque. Nelle città il compito di creare questa condizione di guerriglia fu assunto dai Gruppi d’Azione Patriottica – GAP. Nella prospettiva dell’insurrezione vennero poi costituite le Squadre d’Azione Patriottica – SAP, con compiti diversi ma ugualmente agenti nelle città.

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