Resistenza non fu solo un fenomeno militare. Grande importanza ebbe anche quella che viene definita la Resistenza civile in cui fondamentale fu il ruolo delle donne. Una Resistenza fatta non solo di aiuti ai partigiani combattenti o ai perseguitati per ragioni di razza; ma anche più semplicemente di un tacito rifiuto della dittatura dominante.
In questo contesto va considerato anche il ruolo della Chiesa cattolica: nel corso della guerra e specificamente nel 1943-1945 in Italia la gerarchia ecclesiastica e il Vaticano si astennero dallo schierarsi apertamente per l’una o per l’altra parte; al clero toccò per lo più una funzione caritativa e di protezione, assolvendo ai suoi compiti istituzionali, pur con diversi atteggiamenti dei vari sacerdoti. Il papa Pio XII (Eugenio Pacelli) rivendicava al mondo cattolico un ruolo di guida morale: nello sfacelo di ogni autorità, la Chiesa di Roma voleva ergersi come la sola istituzione in grado di reggere.
E in effetti così appariva a una parte non piccola del Paese. Nel mondo politico la nuova formazione che si richiamava agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa fu la Democrazia Cristiana (DC) a cui, pur con qualche diffidenza, il Vaticano guardava con approvazione, mentre furono sconfessati altri gruppi cattolici: il Partito della Sinistra cristiana, ad esempio, i cui maggiori dirigenti confluirono nel PCI nel dopoguerra. Non mancarono nel panorama delle forze combattenti resistenziali formazioni dichiaratamente cattoliche (le Fiamme Verdi), mentre dall’altra parte della barricata ci furono sacerdoti che si schierarono con la RSI.
Nel quadro di una guerra tanto feroce, è stato spesso messo in secondo piano il ruolo di una componente essenziale del panorama italiano: le donne. Le donne, già al momento della resa dell’8 settembre, quando l’esercito si dissolse, diedero vita a quello che è stato definito un “maternage di massa”, una delle espressioni specificamente femminili della Resistenza civile italiana. Grazie alle donne, le famiglie, sostanzialmente matriarcali – data l’assenza generalizzata degli uomini, perlopiù sotto le armi – accolsero in casa i fuggitivi, i renitenti, i disertori, li sfamarono, fornirono abiti civili, li nascosero in quelle che diventeranno le case di latitanza. Non si trattò di un impegno privo di conseguenze: chi ospitava fuggitivi fu punito, quando scoperto, con l’arresto, con la tortura e la morte. Senza il fondamentale appoggio della popolazione non combattente e delle donne in particolare – che furono parte essenziale della cosiddetta Resistenza “civile” – difficilmente il movimento partigiano avrebbe potuto radicarsi, svilupparsi e, alla fine, vincere. Le donne, in assenza della gran maggioranza della popolazione maschile, dovettero anche sopperire da sole alla conduzione famigliare, alla crescita dei figli e allo svolgimento delle mansioni lavorative.
L’universo femminile tuttavia non sfuggì completamente alla radicalizzazione politica che investiva l’intero Paese di fronte alla guerra civile. Molte furono coinvolte nell’accesa mobilitazione politica, altre scelsero la via di un impegno più diretto. Ci furono così donne che aderirono alla Resistenza, militando in formazioni combattenti o fornendo i servizi informativi e di sussistenza essenziali, col ruolo di staffette, per un esercito combattente; e ci furono donne che entrarono al servizio della RSI nel cosiddetto Servizio Ausiliario Femminile.