3. La Repubblica Sociale Italiana

I caratteri della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e la sua stessa legittimità sono molto discussi perché essa è considerata uno Stato “collaborazionista”, completamente asservito agli esclusivi interessi degli occupanti tedeschi.

Irrilevante il suo peso nel contesto internazionale: lo riconobbero solo Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Croazia. Un rifiuto venne da Spagna, Portogallo, Svezia, Turchia, Argentina nonché dallo Stato del Vaticano. Solo il Giappone appariva veramente interessato ed ebbe presso la RSI una regolare rappresentanza diplomatica. La sovranità dello stato si estendeva a territori limitati: a sud i suoi confini erano segnati dall’avanzare delle Forze Armate alleate; al nord-est dall’estendersi della sovranità diretta del Reich, per decisione di Hitler (11 settembre 1943), su due zone d’operazioni, sottratte alla sovranità italiana. La proclamazione fu annunciata fin dal 10 settembre 1943 da un gruppo di gerarchi fascisti fuggiti a Monaco alla fine di luglio; fu confermata dagli ordini di Mussolini, liberato dai tedeschi il 12 settembre, che ricostituiva il partito fascista, ne nominava il segretario (Alessandro Pavolini), ricostituiva la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale guidata da Renato Ricci, scioglieva ufficiali e soldati dal giuramento al re e ne dichiarava decaduti tutti i provvedimenti posteriori al 25 luglio. Un discorso di Mussolini fu trasmesso da Radio Monaco e captato in Italia il 18 settembre 1943. Mussolini accusava il re, gli alti comandi dell’esercito, la classe dirigente di averlo tradito ed esortava il popolo italiano a tornare a combattere a fianco dei tedeschi al fine di cancellare l’onta del tradimento nei confronti di questi ultimi, e a rivendicare l’onore dell’Italia. A questo appello non mancarono di rispondere giovani cresciuti nella scuola fascista e nelle organizzazioni di massa del regime.
I tedeschi impedirono che il governo si insediasse a Roma; nei mesi successivi gli apparati amministrativi dello Stato vennero sdoppiati e parte di essi fu trasferita al nord, in un’area compresa tra il Lago di Garda – dove presso Salò prese residenza Mussolini – e Milano, dove successivamente (autunno-inverno 1944-1945) si concentrarono i più importanti centri decisionali italiani e tedeschi. La presenza dell’alleato-occupante imponeva ai fascisti repubblicani di presentarsi come alleati fedeli del Reich ma autonomi da esso.

 

Il primo problema fu quello di ricostituire l’esercito. Le truppe italiane erano state catturate dalla Wehrmacht e, con l’eccezione di alcuni reparti di Camicie Nere schieratisi con i tedeschi, erano state avviate nei campi di internamento, dove gli Internati Militari Italiani – IMI non godevano nemmeno delle protezioni concesse ai prigionieri di guerra dalle convenzioni internazionali. Mussolini e il maresciallo Rodolfo Graziani, ministro delle Forze Armate, volevano trarre dagli IMI gli uomini per costituire un esercito regolare. Hitler invece si oppose perché quelle che lui chiamava “Badoglio-truppen” non offrivano garanzia di tornare a combattere con efficienza. D’altra parte la propaganda per ottenere dagli Internati Militari Italiani l’adesione volontaria alla repubblica ebbe ben poco successo. Molto simile fu quanto avvenne in Italia, dove il governo della repubblica emanò, a partire dal dicembre 1943, una serie di bandi di leva, che dopo un successo iniziale molto dubbio, si tramutarono in un fallimento clamoroso. Inutilmente il governo fascista repubblicano pubblicò a più riprese bandi che per i renitenti prevedevano la pena di morte e ritorsioni contro i famigliari.

Con i soldati di leva e con i volontari vennero formate quattro divisioni (San Marco, Littorio, Monterosa e Italia) forti ciascuna dagli undici ai sedicimila uomini, inviate in Germania per l’addestramento e tornate in Italia a partire dall’agosto 1944. Furono schierate in parte sul fronte ligure al comando del maresciallo Graziani, inframmezzate alle truppe tedesche, e in parte inviate al confine nord-occidentale dove fronteggiarono soprattutto l’insorgenza partigiana. La repressione del “banditismo” costituì infatti il compito maggiore delle forze armate della repubblica sociale, al fine di sollevare la Wehrmacht da questi compiti. La RSI disponeva, oltre all’esercito, di milizie connotate politicamente e designate a compiti di polizia. Il corpo più numeroso (valutato fino a 150.000 uomini iniziali) fu la Guardia Nazionale Repubblicana, al comando di Renato Ricci, composta di Carabinieri, Polizia dell’Africa italiana e Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. I Carabinieri, invisi a tedeschi e a fascisti per la tradizionale devozione monarchica, furono oggetto di deportazione in Germania. Le restanti forze della GNR ebbero il compito di sorvegliare il territorio in collaborazione con la Polizia di Stato e agli ordini dei prefetti (denominati Capi provincia). La capacità della GNR risultò insoddisfacente per la scarsità dell’armamento e dell’addestramento. Alla metà di agosto del 1944 essa fu inserita nell’esercito come “prima arma combattente”, sottratta al comando di Renato Ricci e messa agli ordini diretti di Mussolini. Questo provvedimento non le tolse i compiti di polizia, contribuendo a un intreccio di poteri e di illegalità che rese poco credibile l’autorità della repubblica. A partire dalla fine del giugno 1944 furono costituite le Brigate Nere, milizie del Partito fascista repubblicano, al diretto comando del segretario del Partito, Alessandro Pavolini. Aveva pretese di autonomia la X flottiglia MAS, fanteria di Marina, comandata da Junio Valerio Borghese come se fosse una sua compagnia personale, in diretta alleanza con i tedeschi. Si aggiungevano poi una numerosa congerie di bande irregolari utilizzate da tedeschi e autorità repubblicane come strumenti di spionaggio e repressione antifascista (la Banda Carità, la Banda Koch, il reparto di Spiotta, la formazione “Mai Morti”).
La molteplicità dei centri di potere e la varietà delle truppe rifletteva un carattere di fondo della repubblica, eversivo e velleitario, che ambiva a costruire un rinnovato ordine sul modello del totalitarismo nazista. Il primo atto politico del nuovo regime fu l’Assemblea di Verona (14 novembre 1943) in cui venne presentato un programma repubblicano, antisemita e socializzatore. L’Assemblea pretese il processo ai traditori del 25 luglio: processati, condannati e fucilati nel successivo febbraio 1944. Scatenò anche una sanguinosa spedizione squadrista a Ferrara, per vendicare la morte del federale fascista (forse ucciso da fascisti locali). Nell’ambito della repubblica l’antisemitismo venne portato alle conseguenze più estreme, sia con provvedimenti direttamente promossi dal ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi (circolare del dicembre 1943 per l’internamento di tutti gli ebrei), sia con la collaborazione di assai numerosi “bravi italiani” alle razzie e alle deportazioni tedesche, sia infine con la propaganda razzista promossa da Giovanni Preziosi.

I tedeschi avevano dapprima pensato a un’occupazione del territorio italiano diretta ad asportare dall’Italia tutte le attrezzature industriali e le materie prime. Nei mesi dell’inverno 1943-’44 si impose invece il disegno sostenuto dall’ambasciatore Rudolph Rahn di utilizzare in Italia le strutture produttive e di concedere alla repubblica una relativa autonomia. In questo quadro prese corpo una riorganizzazione della produzione industriale italiana (opera del ministro dell’Economia corporativa Angelo Tarchi) che si serviva della collaborazione di una serie di Comitati industriali al fine di dar vita a una nuova struttura corporativa dell’economia italiana. Ma il progetto di socializzazione che nel frattempo Mussolini caldeggiava allarmò i tedeschi che ne temevano tanto le più lontane implicazioni ideologico-politiche quanto le ripercussioni più immediate sulla funzionalità produttiva. Malgrado l’opposizione tedesca, portavoce tra l’altro anche dei timori degli industriali italiani, i primi provvedimenti della legislazione socializzatrice furono emanati nel gennaio e nel febbraio 1944. La loro applicazione fu invece ritardata a lungo e prese consistenza solo nell’autunno successivo.
Nel corso dell’estate 1944 le forze partigiane nell’Italia settentrionale avevano conseguito importanti successi sia con il potenziamento dei loro effettivi sia con la liberazione di varie zone nel cuore dei territori occupati. La reazione delle truppe d’occupazione agli attacchi della guerriglia e all’estendersi delle forme di opposizione fu molto feroce e diede luogo a una serie di atti di repressione violenta (impropriamente definiti rappresaglie) soprattutto nelle aree dell’Italia centrale e in quelle dell’Italia settentrionale, che costarono la vita a migliaia di cittadini italiani inermi, donne vecchi e bambini compresi Questa situazione provocò tra l’altro anche forti tensioni con alcuni esponenti della Chiesa. Molti infatti tra i fascisti avrebbero voluto che i rapporti tra Chiesa cattolica e RSI volgessero a favore di Mussolini con una netta condanna del voltafaccia di Badoglio e del re. Per rivendicare la piena dignità e il carattere cattolico del fascismo repubblicano sorse anche un movimento a carattere semi-eretico, “Crociata Italica”.

A partire dall’autunno 1944 si delineò una nuova fase nella vita della repubblica: un forte inasprimento del confronto militare interno e della repressione, da una parte, e dall’altra l’intensificazione del dibattito e della propaganda sulla socializzazione. L’ultima fase “socializzatrice” della repubblica è collegata anche all’estremo tentativo di Mussolini di salvare la propria costruzione politica. Nell’autunno 1944 prese vita, e fu successivamente riconosciuto come legittimo dalle autorità fasciste, un Raggruppamento Socialista Nazionale, promosso e capeggiato da Edmondo Cione, già allievo di Benedetto Croce, convertitosi alle idee mussoliniane.
Nel frattempo altri (il segretario Pavolini prima di tutti) proponevano a Mussolini anche un’estrema difesa militare dei fascisti in un Ridotto Armato Repubblicano, che avrebbe dovuto essere costituito in Valtellina. Ed era forse proprio verso questo ridotto – peraltro inesistente – che si stava avviando Mussolini il 28 aprile 1945, dopo aver visto fallire i tentativi di mediazione per una resa concordata tramite il cardinale Arcivescovo di Milano, Schuster. Il duce fu individuato da una formazione partigiana nascosto in un camion tedesco presso Dongo. Fatto prigioniero, venne giustiziato il giorno seguente a Giulino di Mezzegra dal comandante “Valerio” in applicazione della sentenza di morte emessa contro di lui dal CLNAI; il suo corpo e quello di alcuni di coloro che lo avevano accompagnato nell’ultima fuga fu esposto in piazzale Loreto a Milano.

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