La violenza coloniale fascista
La violenza costituisce una componente essenziale nel colonialismo. Tra Otto e Novecento, il dominio diretto da parte di potenze europee su territori e popolazioni dell’Africa e dell’Asia si è realizzato dispiegando la forza militare, lo sfruttamento economico, le coercizioni amministrative e le imposizioni culturali.
La violenza ha costituito sicuramente una parte fondamentale di questi sistemi di prevaricazione, e a sua volta in ogni singolo contesto geostorico le prevaricazioni sono state articolate in maniera diversa, modulando intensità e caratteristiche.
Questa premessa generale è necessaria come inquadramento poiché nei percorsi didattici sulle fonti che proponiamo isoleremo non solo il colonialismo italiano da quello delle altre potenze europee, ma ci concentreremo su alcuni aspetti della storia coloniale fascista. Quindi anche se non avremo agio di affrontare le caratteristiche del colonialismo delle altre potenze – pensiamo soprattutto a Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda e Germania – dobbiamo tuttavia non dimenticare che il colonialismo italiano non costituisce certo una eccezione nell’ambito degli imperialismi europei ma una particolare articolazione.
Allo stesso tempo possiamo affermare che il colonialismo fascista mantenne molti elementi di continuità con il colonialismo dell’epoca liberale italiano, anche se si caratterizzò per un livello di violenza maggiore e soprattutto non frenata da una serie di elementi. All’epoca del primo colonialismo, infatti, l’esistenza del pluralismo politico e di un’informazione non completamente asservita alle finalità del partito al potere consentiva ancora l’esistenza di un dissenso e di una circolazione di punti di vista critici rispetto all’espansione coloniale. La presa del potere del fascismo cancellò queste possibilità e pose la nuova stagione di espansione al riparo da ogni limitazione che non fosse originata dai conflitti interni alle gerarchie di potere.
Possiamo anche aggiungere che il colonialismo del regime si caratterizzò nella storia contemporanea come l’unico colonialismo fascista (la Germania aveva perso le proprie colonie con il trattato di pace al termine della Grande guerra) e che ebbe nel proprio strumentario ideologico l’esplicita volontà di gerarchizzazione razziale» dell’umanità.
In anni in cui le altre grandi potenze coloniali avevano esaurito la propria spinta espansionistica diretta per passare al tentativo di sfruttare economicamente i territori sottomessi, il carattere ancora espansionistico e militare del progetto fascista esprime anche un ritardo rispetto allo sviluppo generale della politica delle potenze coloniali.
Semplificando possiamo dividere colonialismo fascista in tre fasi: nella prima fase – fino al 1925 – dominarono gli elementi di continuità con la gestione liberale; nella seconda fase, che si dispiegò fino al 1932, il regime era divenuto dittatura e si impegnò in una crescita di attivismo espansionista che si concretizzò nella lunga e spietata guerra di «riconquista» dell’entroterra libico di cui era stato perduto il controllo alla vigilia del primo conflitto mondiale; la terza fase fu apertamente espansionistica e fu caratterizzata dall’invasione e conquista dell’Etiopia contro la volontà della Società delle nazioni e dal varo di una normativa razzista propagandata come identità imperiale.
Abbiamo deciso di proporre l’approfondimento didattico di tre dimensioni molto diverse della violenza che caratterizzò il colonialismo fascista.
La prima invita a conoscere un aspetto particolarmente violento della guerra coloniale condotta dal fascismo; la seconda presenta aspetti delle relazioni di convivenza affettiva e sessuale tra colonizzatori e colonizzati; la terza propone di entrare nel “laboratorio virtuale” dell’antropologo italiano Lidio Cipriani per scoprire alcuni aspetti metodologici della scuola antropologica egemone dell’epoca in Italia.