Il fascismo italiano, non diversamente dagli altri fascismi europei, si presenta con una retorica sovversiva e anticapitalista. La sua sostanza è tuttavia quella di un movimento controrivoluzionario, che non distrugge le vecchie élites sociali ed economiche, ma nello stesso tempo appresta un regime politico sociale nuovo. Distrutto il movimento operaio e via via tutte le istituzioni democratiche, crea nuovi istituti in cui le masse, vengono inquadrate irreggimentate e sottomesse. Nel regime fascista le masse sono un soggetto importante e decisivo, perché esse devono essere mobilitate per svolgere una funzione coreografica al fine di celebrare il trionfo del duce e del suo movimento. E soprattutto le masse devono costituire una comunità (il popolo, la nazione, la razza) che si mobilita attorno ai miti e ai simboli della dittatura.
L’individuo viene cancellato e annullato dallo Stato, che appare come unità compatta in cui le singolarità si dissolvono e gli uomini si fanno massa. All’interno di questa logica l’individuo deve identificarsi intimamente con il regime, con le sue regole e la sua fede. Attorno al singolo si crea quindi una rete di osservazione, costituita in parte da organi di polizia (la Polizia Politica dapprima e poi l’OVRA), ma rinforzata e resa più temibile dalla presenza dei delatori, cittadini che per desiderio di lucro o per invidia o malanimo o per ingraziarsi le autorità vogliono segnalarsi per zelo persecutorio nei confronti di ogni dissidenza.
Le grandi cerimonie collettive, le adunate “oceaniche” per assistere alle esibizioni oratorie di Mussolini, sono momenti di una sorta di liturgia della nuova religione laica di cui il fascismo si è fatto banditore. Stretto dapprima attorno ai miti nazionalisti, il fascismo, con la guerra coloniale contro l’Etiopia, incrementa la componente razzista della propria ideologia e con il 1938 dichiara apertamente la persecuzione degli ebrei e di tutte le “razze inferiori”, come corollario necessario del suo totalitarismo.