Il sovvertimento definitivo degli equilibri postbellici nello stato liberale italiano fu opera di un movimento politico – il fascismo – che fin dall’inizio ricorse all’uso della violenza, sorretta da componenti dello Stato e da potenti gruppi economici privati.
Si impegnò in primo luogo nella lotta violenta e armata contro le organizzazioni proletarie, contadine e operaie, facendosi campione del diritto dell’imprenditore a gestire senza controlli la proprietà privata; ma non si limitò a un’azione di crumiraggio nella repressione degli scioperi: la sua strategia era propriamente militare, perché, una volta battuto l’avversario sul campo, rivolgeva la propria forza contro le strutture che lo sorreggevano: Leghe contadine, Cooperative rosse e bianche, Circoli socialisti e cattolici, Camere del Lavoro, sezioni dei partiti. Agli esponenti di tutte le opposizioni (socialisti, cattolici, liberali) rivolse insulti e percosse, aggressione fisica fino all’assassinio.
Il fascismo nel programma iniziale aveva sfoggiato termini e obiettivi anticapitalisti ma nello stesso tempo aveva affermato che a fondamento dello Stato andava messo il movimento dei «produttori»: un termine che equiparava in una sola categoria padroni e lavoratori e che riprendeva temi elaborati dal movimento nazionalista, assai graditi al padronato perché preconizzavano uno sviluppo economico nell’armonia della collaborazione di classe, sotto l’egemonia dei capitalisti.
Quando nel 1921 ebbe fine l’espansione industriale innestata dalla guerra e successivamente sostenuta dai finanziamenti statali e dall’inflazione, i colossi siderurgici e cantieristici italiani furono costretti a ridimensionarsi mentre gli investimenti produttivi calavano in tutti i settori. In tale congiuntura, caratterizzata da crescente disoccupazione e dall’indebolimento della forza contrattuale del proletariato, si saldò l’alleanza tra i ceti conservatori italiani e l’eversione fascista (ascolta Giovinezza).
Il movimento fascista nel novembre 1921 si costituì in Partito Nazionale Fascista – PNF e poco tempo dopo diede vita alla Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali. In questo mutamento di rotta Benito Mussolini annunciò anche la rinuncia alla pregiudiziale repubblicana e pose la sordina al suo anticlericalismo. Tali mosse gli valsero le simpatie degli ambienti monarchici, delle gerarchie militari e infine della Chiesa cattolica.
L’alleanza tra il fascismo e le classi dirigenti si era formalizzata sul piano elettorale con le elezioni della primavera 1921, quando i fascisti entrarono nelle liste del Blocco Nazionale con i liberali, i nazionalisti e i cattolici conservatori. Le elezioni erano state indette da Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, che pure aveva tentato una via riformista (come delle resto il suo predecessore Francesco Saverio Nitti) e che aveva pure opposto un fermo atteggiamento alle illegalità dei fasci. Lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni avrebbero dovuto essere, nel suo disegno politico, un modo per ridimensionare la rappresentanza parlamentare dei socialisti e piegare i riformisti a una collaborazione governativa fino allora rifiutata; ma fu invece un modo per dare nuovo slancio al fascismo.