4. La sconfitta democratica

Il partito socialista era uscito dalla guerra con un grande prestigio per la sua opposizione al conflitto e per aver dato voce alle proteste contro i massacri della guerra. Nel dopoguerra era stato alla testa delle lotte dei lavoratori, e la sua influenza era stata anche rafforzata dal mito della Rivoluzione d’Ottobre. Ma lo sbocco rivoluzionario in Italia non aveva avuto possibilità di realizzarsi per i limiti di un partito profondamente intriso della cultura riformista e per la forza di un apparato statale che non era in sfacelo come quello zarista. Il partito si trovava così diviso tra una maggioranza massimalista incapace di dare sbocco alle sue velleità rivoluzionarie e una minoranza riformista restia o impossibilitata ad appoggiare le soluzioni moderate.

Milite Ignoto - Testo Base 4

Le difficoltà del socialismo erano acuite dalla necessità di tener fermo il rifiuto della guerra. Nell’esaltato clima nazionalista del dopoguerra, denso di celebrazioni per i caduti e per i sacrifici sofferti dall’intera nazione, la nomea di antipatrioti danneggiò gravemente la loro immagine un Paese che si era prosternato davanti al Milite Ignoto.

L’isolamento e il delinearsi di una sconfitta politica ineluttabile fu il fattore scatenante di un rottura esiziale nel PSI. La frazione di sinistra, dichiaratasi comunista, diede vita al Partito Comunista d’Italia, sezione italiana della III Internazionale (21 gennaio 1921). Strutturato sul modello del partito leninista poté sopravvivere anche negli anni della dittatura, pur pagando il prezzo di una stretta obbedienza alla dittatura di Stalin. Negli anni successivi altre scissioni smembrarono il Partito Socialista Italiano, incapace di compiere  una scelta precisa tra riformismo e rivoluzione. I socialisti ritrovarono la loro unità solo nel 1943.

L’esperienza del Partito Popolare Italiano fu in parte diversa ma si concluse anch’essa con una drammatica rottura. I cattolici in grande maggioranza avevano aderito alla causa nazionale né li aveva danneggiati la denuncia del papa Benedetto XV contro l’inutile strage. Il partito, che aveva inalberato un vessillo di aconfessionalità per impostare la propria azione su un piano esclusivamente politico senza risvolti religiosi, aveva tuttavia al suo interno diverse correnti: moderati conservatori da una parte, dall’altra esponenti sindacali che avevano dato vita alla CIL. La mediazione del segretario don Luigi Sturzo poté mantenere unito il partito fino al dramma del 1921: in quella congiuntura tuttavia i popolari non ebbero il coraggio di assumere la responsabilità di un governo che bloccasse il fascismo. Dopo di allora i conservatori presero la strada dell’alleanza con Mussolini e con il Blocco Nazionale mentre il resto del partito, dopo una contraddittoria fase di collaborazione con Mussolini, si sbandava.

Il vasto e composito mondo liberale infine si trovava unito nel riconoscere al fascismo il pregio di aver piegato i movimenti popolari, tanto socialisti quanto cattolici. Per la gran parte i suoi esponenti consideravano il fascismo un fenomeno passeggero, destinato a esaurirsi non appena fosse stata superata la fase eccezionale che l’Italia stava attraversando.

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