3. Reazione e fascismo

Il sovvertimento definitivo degli equilibri postbellici nello stato liberale italiano fu opera di un movimento politico – il fascismo – che fin dall’inizio ricorse all’uso della violenza, sorretta da componenti dello Stato e da potenti gruppi economici privati.

5 - Squadristi

Si impegnò in primo luogo nella lotta violenta e armata contro le organizzazioni proletarie, contadine e operaie, facendosi campione del diritto dell’imprenditore a gestire senza controlli la proprietà privata; ma non si limitò a un’azione di crumiraggio nella repressione degli scioperi: la sua strategia era propriamente militare, perché, una volta battuto l’avversario sul campo, rivolgeva la propria forza contro le strutture che lo sorreggevano: Leghe contadine, Cooperative rosse e bianche, Circoli socialisti e cattolici, Camere del Lavoro, sezioni dei partiti. Agli esponenti di tutte le opposizioni (socialisti, cattolici, liberali) rivolse insulti e percosse, aggressione fisica fino all’assassinio.

Il fascismo nel programma iniziale aveva sfoggiato termini e obiettivi anticapitalisti ma nello stesso tempo aveva affermato che a fondamento dello Stato andava messo il movimento dei «produttori»: un termine che equiparava in una sola categoria padroni e lavoratori e che riprendeva temi elaborati dal movimento nazionalista, assai graditi al padronato perché preconizzavano uno sviluppo economico nell’armonia della collaborazione di classe, sotto l’egemonia dei capitalisti.

Fasci di combattimento - Persone

Quando nel 1921 ebbe fine l’espansione industriale innestata dalla guerra e successivamente sostenuta dai finanziamenti statali e dall’inflazione, i colossi siderurgici e cantieristici italiani furono costretti a ridimensionarsi mentre gli investimenti produttivi calavano in tutti i settori. In tale congiuntura, caratterizzata da crescente disoccupazione e dall’indebolimento della forza contrattuale del proletariato, si saldò l’alleanza tra i ceti conservatori italiani e l’eversione fascista (ascolta Giovinezza).

Il movimento fascista nel novembre 1921 si costituì in Partito Nazionale Fascista – PNF e poco tempo dopo diede vita alla Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali. In questo mutamento di rotta Benito Mussolini annunciò anche la rinuncia alla pregiudiziale repubblicana e pose la sordina al suo anticlericalismo. Tali mosse gli valsero le simpatie degli ambienti monarchici, delle gerarchie militari e infine della Chiesa cattolica.

L’alleanza tra il fascismo e le classi dirigenti si era formalizzata sul piano elettorale con le elezioni della primavera 1921, quando i fascisti entrarono nelle liste del Blocco Nazionale con i liberali, i nazionalisti e i cattolici conservatori. Le elezioni erano state indette da Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, che pure aveva tentato una via riformista (come delle resto il suo predecessore Francesco Saverio Nitti) e che aveva pure opposto un fermo atteggiamento alle illegalità dei fasci. Lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni avrebbero dovuto essere, nel suo disegno politico, un modo per ridimensionare la rappresentanza parlamentare dei socialisti e piegare i riformisti a una collaborazione governativa fino allora rifiutata; ma fu invece un modo per dare nuovo slancio al fascismo.

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