L’opposizione al fascismo in Italia fu diffusa, secondo le memorie e la documentazione costituita dalle denunce e dai processi, quasi solo tra classi popolari e presso gruppi intellettuali. Serpeggiò invece a tutti i livelli della società una forma di malcontento, di generica mormorazione che non divenne scelta dichiarata e attiva, se non al momento della sconfitta militare. Tale clima di dissenso perpetuo, ma innocuo, alimentò, dopo la caduta del regime, le illusioni di quanti sostennero l’estraneità dell’intera società rispetto al regime fascista.
Nella sua gran maggioranza il Paese accettò di fatto la dittatura, e pur deprecandone le forme più grossolane e ridicolizzando gli aspetti grotteschi della sua propaganda, restò contagiato dalla sua ideologia e dalla sua cultura. Dopo che il fascismo si fu insediato al potere e dopo la crisi provocata dall’assassinio di Giacomo Matteotti e la fallimentare esperienza dell’Aventino, gli oppositori più esposti furono costretti all’esilio: i capi delle formazioni di sinistra e gran numero di militanti anarchici, personalità quali Filippo Turati, Claudio Treves e Piero Gobetti, nonché i dirigenti del Partito Comunista d’Italia – PCd’I. Analoga vicenda vissero taluni esponenti del mondo liberale o del Partito Popolare Italiano (PPI). La meta di questo esilio fu la Francia sia per la disponibilità del Paese e del governo radical socialista di quei primi anni sia per la speranza di trovare nella capitale francese una tribuna internazionale per denunciare la violenza del fascismo. Non era estranea anche l’illusione di un rapido crollo del regime sotto il peso della precaria situazione economica. All’emigrazione delle élites politiche si aggiunse anche un’emigrazione popolare di origine politica causata dalle persecuzioni fasciste contro i singoli militanti che non si fossero piegati alla prepotenza delle squadre d’azione.
Nell’esilio si ricostituirono i partiti politici sciolti in Italia (con l’eccezione del PPI): questi diedero vita alla Concentrazione di azione antifascista, il cui programma per molti aspetti rifletteva i limiti dell’Aventino. Il PCd’I si mantenne estraneo alla Concentrazione, verso la quale fu sviluppata una forte critica da parte di gruppi di giovani antifascisti in Italia, riuniti attorno alla rivista “Quarto Stato”, e da parte del movimento Giustizia e Libertà promosso da Carlo e Nello Rosselli. La Concentrazione nel 1934 si dissolse sotto la pressione di nuove prospettive internazionali.
La ridefinizione dei rapporti politici fra le varie forze fu considerevole in quella metà degli anni ’30: socialisti e comunisti stabilirono una linea comune con il PCd’I, sulla base della politica dei Fronti Popolari (VII congresso della III Internazionale comunista). Questa svolta interessò anche tutte le altre forze antifasciste, in quanto dava nuovo valore alla comune conquista di un regime democratico. Il terreno di prova delle prospettive unitarie fu l’impegno al momento dell’esplosione della guerra civile spagnola. Da tutti i Paesi d’Europa e dell’America convennero militanti disposti a battersi contro la minaccia fascista, resa quanto mai evidente dall’impegno militare di Germania e Italia a sostegno di Franco. Per gli italiani fu la prima occasione di scontro armato con il fascismo.
In Italia la situazione era tuttavia assai difficile. Alla metà degli anni ’30 fu smantellata la rete cospirativa del PCd’I e quella dei socialisti. In campo cattolico il solo tentativo di organizzazione politica fu l’isolato Movimento Guelfo d’Azione, il cui principale ispiratore fu Piero Malvestiti, processato nel 1934 assieme ad altri collaboratori. Nell’Azione Cattolica e in particolare nella FUCI, dopo il conflitto del 1931, fu cautamente avviata un’opera di ripensamento e di elaborazione intellettuale da cui emerse alla fine degli anni ’30 un antifascismo di matrice religiosa.
L’antifascismo organizzato alla vigilia della guerra era quindi in condizioni di estrema debolezza; e solo con grande fatica riuscì a emergere come forza decisiva nella crisi italiana del 1943.
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Istituita una commissione parlamentare per accertare cause e responsabilità della rotta di Caporetto.
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Segretario e vicesegretario del PSI, Lazzari e N. Bombacci, arrestati con l’accusa di disfattismo: condannati rispettivamente a 2 anni e 11 mesi e a 4 mesi di reclusione.
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Istituito il commissariato generale per l’Assistenza alla popolazione civile e la propaganda interna, presieduto da U. Corradini (d.lgt. n. 130).
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Bombardamento aereo di Venezia.
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Silurato da un sommergibile tedesco al largo di Capo Figari (Sardegna) il traghetto postale Tripoli: 300 morti.
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Congresso a Roma dei popoli soggetti all’impero austro-ungarico: le delegazioni polacca, cecoslovacca, rumena, iugoslava e italiana concordano sul rispetto della nazionalità quale principio del futuro assetto europeo.
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Conferenza interalleata a Versailles: Sonnino si oppone a una dichiarazione a favore dell’indipendenza di Cecoslovacchia e Iugoslavia sostenuta dai governi francese, inglese e statunitense.
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Offensiva austriaca da Asiago (Vicenza) alle foci del Piave, respinta dall’esercito italiano.
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XV congresso PSI a Roma: prevale la corrente massimalista. La mozione conclusiva impegna il partito a operare per la pace e l’annientamento del capitalismo. Menotti Serrati alla direzione dell’«Avanti!».
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Offensiva dell’esercito italiano sul monte Grappa, conclusa con la battaglia di Vittorio Veneto.
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L’impero austro-ungarico chiede l’armistizio all’Italia.
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Il Consiglio nazionale italiano di Fiume proclama l’unione della città all’Italia; il territorio era stato precedentemente assegnato, dal patto di Londra, all’Ungheria o alla Croazia.
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Resa dell’impero turco.
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L’armistizio di Villa Giusti (Padova) con l’impero austro-ungarico pone fine alla guerra. Ingresso dell’esercito italiano a Trento e Trieste.
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Firma dell’armistizio di Rethondes con la Germania.
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Ingresso delle truppe italiane a Fiume.
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Fondato a Roma il Partito futurista: il programma, nazionalista, rivoluzionario e anticlericale, prevede tra l’altro il divorzio e il libero amore.
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La direzione del PSI respinge la proposta della CGdL di avviare una costituente per la democratizzazione dello Stato e conferma l’obiettivo del partito di instaurare la dittatura del proletariato e una repubblica socialista.
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Sturzo espone a Milano un progetto per la costituzione di un partito cattolico, democratico, non confessionale, autonomo.