1923-1939

Il regime fascista

1923-1939, che anni sono?


Consenso, adesione, obbligo. Quale è l’atteggiamento degli italiani in questi anni? Ma come si fa a capire che cosa succede, da che parte stare; ma poi, è possibile capire, è possibile stare da una parte? Quante domande, quanti sentimenti affollano la società italiana che si ritrova ad affrontare riforme sociali importanti come la scuola, l’assistenza, il lavoro e, nello stesso tempo, decisioni politiche che limitano, tagliano, tolgono.

Niente e nessuno può nuocere all’onore dell’Italia. Quell’onore che è sancito da un partito che si affianca alle forze dell’ordine per garantire la sicurezza dello Stato; dalla sparizione di un Deputato che svolge il suo ruolo di opposizione; dall’opinione politica valutata da un tribunale speciale; dalla cancellazione di troppe testate giornalistiche, di troppi partiti, di troppi sindacati; dal Parlamento subalterno al Capo e da alleanze politiche che varcano il confine per costruire un asse.

Ma che ne sanno quelli che giovano della bonifica e dei treni in orario? Perché si devono occupare e interessare di quelle questioni della politica che è meglio lasciar perdere?
Quando si dà una giustificazione a tutto, allora è la persona che sceglie di non scegliere.

Allora avanti, per un futuro fatto di “Credere, obbedire, combattere”, “Libro e moschetto, fascista perfetto”, “A noi!”.

1. Lo Stato autoritario

La conquista del premierato non significò per Mussolini il conseguimento completo dei suoi obiettivi. Mentre procedeva alla distruzione fisica di tutte le organizzazioni che potessero rappresentare forze politiche “nemiche”, dopo una fase di collaborazione con popolari e liberali, avviò tra il 1924 e il 1926 una legislazione diretta a introdurre nuovi istituti che scardinassero il precedente ordinamento liberale e forgiassero i caratteri di uno Stato fascista. L’idea guida fu il rafforzamento sempre e sotto ogni profilo del potere esecutivo. In questo modo il fascismo realizzò il superamento dello Stato liberale per costruire un nuovo sistema per governare la società di massa.

Nel quadro dei mutamenti istituzionali, ebbe un posto centrale l’esaltazione del ruolo del capo del governo a cui si accompagnarono norme tendenti al rafforzamento complessivo dei poteri dell’esecutivo (l’abilitazione del governo ad emanare norme legislative attraverso la decretazione d’urgenza), un’ulteriore scadimento della funzione parlamentare degradata a funzione meramente consultiva, prima ancora di diventare, dopo la riforma elettorale del 1928, puramente decorativa. Con le “leggi fascistissime” del 1925 era stata cancellata la libertà di associazione (nel 1926 furono dichiarati decaduti i parlamentari dell’Aventino) e il Partito Nazionale Fascista si avviò a diventare partito unico di Stato; l’assemblea dei capi del fascismo, il Gran Consiglio del fascismo, creato informalmente nel dicembre 1922 (formalizzato nel 1923) fu consacrato nel 1928 come supremo organo costituzionale. Nel 1923 la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale – MVSN, integrata nell’esercito l’anno successivo, inquadrava le squadre d’azione fasciste in una istituzione statale. Sotto tale facciata le squadracce costituivano un organismo che contendeva allo Stato il monopolio dell’uso della forza.

Ruolo non secondario ebbe la fine delle autonomie locali realizzato attraverso l’abolizione delle amministrazioni elettive, sostituite da nomine dall’alto di amministrazioni che fossero di gradimento del partito dominante, e con l’accentuazione dei poteri dell’esecutivo attraverso i compiti dei prefetti. La legge del 4 febbraio 1926 soppresse il sistema elettivo per le Amministrazioni Comunali e Provinciali. I Sindaci, dal 1848 e fino a quel momento democraticamente eletti dal popolo, furono sostituiti dai podestà nominati dal Governo.

La fase successiva fu inaugurata dopo che il fascismo ebbe superato la crisi innestata dall’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti che aveva denunciato le violenze e i brogli elettorali con cui i fascisti avevano conseguito la maggioranza relativa, in forza della quale, secondo la legge Acerbo, il fascismo aveva conquistato la maggioranza in Parlamento.

L’opinione pubblica fu scossa dall’enormità del delitto e nelle stesse file fasciste si manifestarono dubbi e incertezze. Le opposizioni in segno di protesta decisero di non partecipare alle sedute del Parlamento, dando vita al cosiddetto Aventino. Vittorio Emanuele III, sollecitato a sfiduciare Mussolini, si rifiutò accampando ragioni costituzionali e sostenendo che solo un voto del Parlamento poteva indurlo a tale passo. Il monarca fingeva di ignorare che quel Parlamento era dominato da una maggioranza illegittima, come aveva denunciato Matteotti, assassinato proprio per questo suo coraggio.

La serie di provvedimenti emanati dopo un famoso discorso del 3 gennaio 1925 investì la sfera della libertà dei cittadini, con nuove leggi di pubblica sicurezza che crearono nuovi strumenti per la repressione di attività non conformi all’orientamento del governo fascista (istituto del confino e creazione dell’OVRA). La discrezionalità dell’intervento del potere esecutivo era tale da rendere del tutto aleatoria ogni velleità di opposizione. Nel 1926 fu creato infine il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, inserito in una giurisdizione eccezionale e in un sistema giudiziario ormai deprivato della sua autonomia.

2. Totalitarismo

Il fascismo italiano, non diversamente dagli altri fascismi europei, si presenta con una retorica sovversiva e anticapitalista. La sua sostanza è tuttavia quella di un movimento controrivoluzionario, che non distrugge le vecchie élites sociali ed economiche, ma nello stesso tempo appresta un regime politico sociale nuovo. Distrutto il movimento operaio e via via tutte le istituzioni democratiche, crea nuovi istituti in cui le masse, vengono inquadrate irreggimentate e sottomesse. Nel regime fascista le masse sono un soggetto importante e decisivo, perché esse devono essere mobilitate per svolgere una funzione coreografica al fine di celebrare il trionfo del duce e del suo movimento. E soprattutto le masse devono costituire una comunità (il popolo, la nazione, la razza) che si mobilita attorno ai miti e ai simboli della dittatura.

L’individuo viene cancellato e annullato dallo Stato, che appare come unità compatta in cui le singolarità si dissolvono e gli uomini si fanno massa. All’interno di questa logica l’individuo deve identificarsi intimamente con il regime, con le sue regole e la sua fede. Attorno al singolo si crea quindi una rete di osservazione, costituita in parte da organi di polizia (la Polizia Politica dapprima e poi l’OVRA), ma rinforzata e resa più temibile dalla presenza dei delatori, cittadini che per desiderio di lucro o per invidia o malanimo o per ingraziarsi le autorità vogliono segnalarsi per zelo persecutorio nei confronti di ogni dissidenza.

Le grandi cerimonie collettive, le adunate “oceaniche” per assistere alle esibizioni oratorie di Mussolini, sono momenti di una sorta di liturgia della nuova religione laica di cui il fascismo si è fatto banditore. Stretto dapprima attorno ai miti nazionalisti, il fascismo, con la guerra coloniale contro l’Etiopia, incrementa la componente razzista della propria ideologia e con il 1938 dichiara apertamente la persecuzione degli ebrei e di tutte le “razze inferiori”, come corollario necessario del suo totalitarismo.

3. Lo Stato totalitario

Il fascismo aveva necessità della presenza delle masse. Ad esse fu assegnato un ruolo sostanzialmente passivo: le loro tradizionali organizzazioni rappresentative e rivendicative, i Sindacati e le Commissioni interne, vennero cancellati e sostituiti dai Sindacati fascisti. A questi ultimi il Patto di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925), stipulato con le organizzazioni padronali, riconobbe la rappresentanza esclusiva dei lavoratori. La loro azione si fondava sulla rinuncia allo sciopero e sulla collaborazione tra capitale e lavoro. Il riconoscimento legale del sindacato unico, la creazione della Magistratura del lavoro e il divieto dello sciopero e della serrata nel 1926 sanzionarono tale stato di fatto. La forza dei sindacati fascisti, riuniti nella Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali, parve tuttavia eccessiva nel quadro degli equilibri di potere che Mussolini andava realizzando; nel 1928 la Confederazione venne sciolta con un forte ridimensionamento delle organizzazioni che la costituivano. Ai sindacati fascisti si impose però, nel corso della crisi economica italiana degli anni Venti, la necessità di farsi portavoce e difensori di masse operaie e contadine colpite dalle decurtazioni salariali; ma questa fu una battaglia persa, anche se tentata (con qualche timidezza), perché industriali e ceti proprietari delle campagne si opposero a ogni richiesta di miglioramenti.

 

Il ruolo e la funzione dei sindacati venivano concepiti nel quadro di un ordinamento corporativo, governato dal Consiglio nazionale delle Corporazioni (1930). L’ordinamento corporativo fu presentato come il superamento del capitalismo, ma fu un progetto molto più limitato: un’economia dei produttori fondata su rapporti tra Stato–impresa, sindacati e corporazioni. L’esperimento fallì perché non riuscì a sottoporre allo Stato gli interessi dei potentati economici.
Una delle maggiori novità del fascismo rispetto allo Stato liberale fu la creazione di un sistema statale di assistenza. Nel 1927